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Giustizia e pace: diritti da salvaguardare e promuovere
Maturità individuale e coesione nella coppia

“INCONTRI DI PACE” 2 LUGLIO 2020    Il 4° webinar della serie “INCONTRI DI PACE” organizzato da UPF Italia con la collaborazione di WFWP Italia e IAED, è stato seguito con interesse da circa 320 partecipanti in diretta

  più altri partecipanti su diretta streaming sulla pagina facebook UPF Italia e sul canale “ECO dei PALAZZI” che trasmette all’interno degli ambienti istituzionali di Camera e Senato. Nel primo giorno di inserimento della registrazione su pagina facebook UPF Italia sono state raggiunte ……….. visualizzazioni. Il tema conduttore dell’incontro è stato “Interdipendenza e Prosperità Condivisa: Crisi ed Opportunità per una Economia Equa e Sostenibile”.   Hanno partecipato in qualità di relatori: Dr. Marco Ricceri (Segretario Generale EURISPES) – D.ssa Elisabetta Palmisano (Responsabile Uff. Stampa e Rapporti Istituzionali TECNOPOLO) – D.ssa Emanuela Reale (Direttore IRCRES- CNR Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica/Sostenibile) Prof. Stefano Bartolini (Docente Economia Politica ed Economia Sociale Università di Siena).     L’incontro è stato presentato da Gabriella Mieli con il saluto ed introduzione al tema di Elisabetta Nistri, presidente di WFWP  come co-sponsor; Carlo Zonato presidente UPF Italia ha moderato l’incontro; Franco Ravaglioli Segr. Gen.le UPF Italia ha introdotto le domande ai relatori mentre l’aspetto tecnico e di regia è stato condotto da Giorgio Gasperoni direttore responsabile di Voci di Pace.   Alcuni passaggi significativi degli interventi:   Dr. Marco Ricceri: Le Nazioni Unite nel settembre dello scorso anno hanno pubblicato il loro rapporto quadriennale sullo sviluppo sostenibile lanciando un allarme preciso: “se non si accelera questo processo di sviluppo sostenibile si rischiano danni irreversibili al nostro sistema globale”. Un monito molto forte per i responsabili delle decisioni sia nella sfera pubblica che privata. La crisi del coronavirus ha messo in evidenza la fragilità dell’attuale modello di sviluppo. Nei prossimi mesi è opinione diffusa che potremo trovarci di fronte a notevoli difficoltà data la situazione di forte depressione cui siamo di fronte. Un secondo concetto è il termine sostenibile che vuol dire un modello di crescita che evita i punti di rottura rispetto a possibili squilibri sociali, ambientali o economici. Quindi serve una visione equilibrata di progresso. Il problema è che questi allarmi o possibili squilibri sono condivisi e confermati di comune accordo nei momenti di condivisione internazionale da tutti gli stati membri; nella realtà però riscontriamo continui conflitti, contrasti e guerre. E’ necessario quindi spostare l’ottica e le strategie su ciò che unisce piuttosto su ciò che divide. Un ulteriore elemento è contenuto in un documento sempre dell’ONU dove ci si chiede come si svilupperà il modello di globalizzazione. E’ un processo destinato a continuare o invece a regredire? Questo perché si stanno consolidando due fenomeni contrastanti; da un lato le tensioni e i conflitti animati dal sovranismo, dall’altro una serie di modalità di tipo collaborativo e di cooperazione. Da questo punto di vista le Associazioni ed i Governi dovrebbero promuovere decisamente verso un’ottica di cooperazione anche coinvolgendo l’opinione pubblica. Lo stesso fenomeno del coronavirus ha determinato da un lato chiusure e blocchi ma nella situazione di chiusura la gente in gran parte ha cercato nuove forme di collegamento, di cooperazione, di lavoro e di scambio. In ogni caso il concetto di sostenibilità richiede una “visione adeguata ed equilibrata” rispetto ai tre fattori fondamentali dello sviluppo cioè quello economico, sociale ed ambientale in una logica di visione integrata tra loro e non a compartimenti separati. Bisogna preparare le imprese verso questa prospettiva incentivandole verso una logica di bilancio integrato che tiene conto di questi tre fattori. Inoltre sensibilizzare l’intervento di governi per una programmazione di incentivi e sostegni ma indirizzati più che a uno sviluppo di quantità ad uno sviluppo di qualità.     D.ssa Elisabetta Palmisano: Nell’ambito del Tecnopolo mi trovo a contatto con una realtà di circa 140 aziende incluse quelle dell’area agroalimentare. Dai dati di camera di commercio si evince che dall’inizio del covid e fino a circa ottobre purtroppo 35.000 aziende chiuderanno. Questo dipende da due aspetti di base: il primo che se dopo due mesi di chiusura una azienda è costretta a chiudere significa che non ha una politica seria ed oculata di bilancio, l’altro che si fa troppo affidamento ai finanziamenti bancari senza capitalizzare più solidamente i mezzi propri. Un altro fenomeno riscontrato è stato lo “smart working” che nonostante la ripresa delle attività, sta continuando anche grazie a disposizioni governative. Questo aspetto ha però costretto a chiusura tante altre attività indotte come i bar, le tavole calde etc. la cui attività girava intorno a questi poli industriali o tecnologici. Purtroppo certi impegni governativi dichiarati non sono tuttora operativi (cassa integrazione). Vi è la necessità di dotare le aziende di supporti consulenziali per formarle e prepararle più adeguatamente di fronte a situazioni di crisi. In ogni caso esiste una forte necessità di supporti finanziari perché possano andare avanti perché la situazione si presenta molto critica.   D.ssa Emanuela Reale: La pandemia ci sta facendo sperimentare degli effetti che definirei dirompenti sia per la salute in primis, ma poi per le conseguenze economiche ma anche psicologiche che ne conseguono. Per gli aspetti economici assistiamo ad una crescita che si è bloccata tra forte riduzione del PIL e forti perdite di posti di lavoro, oltre che ad una emergenza di liquidità finanziaria. Si parla meno degli effetti sociali con la chiusura delle scuole, il lavoro a casa etc. oltre che effetti psicologici come disturbi del sonno, incapacità poi di uscire e riprendere proattivamente i propri impegni, oppure fenomeni di ansie e depressioni fino a situazioni più estreme come l’intensificarsi della violenza domestica indotta dal confinamento. Questi fenomeni produrranno probabilmente i loro effetti più nel medio/lungo periodo. In questo scenario preoccupante stanno emergendo comunque una serie di “nuove consapevolezze” che noi stiamo registrando nel nostro lavoro di ricerca. La prima è che sta emergendo in modo più deciso  la consapevolezza di puntare ad un modello di sviluppo sostenibile; un’altra è che si tratta di acquisire maggiori competenze nell’uso della tecnica digitale ma che richiede un salto di qualità tecnologica come paese ed un grado più adeguato di formazione. La terza consapevolezza è la necessità più impellente di avere dati in modo rapido o addirittura immediato per poter gestire fenomeni imprevisti; nello stesso tempo fa emergere la necessità di trasparenza e affidabilità dei dati stessi legato questo alla qualità dell’informazione in senso lato. Come Italia ci troviamo in forte ritardo rispetto agli investimenti legati allo sviluppo digitale. Una ultima annotazione circa lo smart-working che se avviato per necessità in questa fase mostra opportunità di utilizzo future con diversi vantaggi se organizzato bene. In definitiva non dovremmo sprecare questo “momentum” di maggiori consapevolezze per reimpostare un nuovo sistema di “welfare” e di sviluppo sostenibile.   Prof. Stefano Bartolini: Complimenti per la scelta di un tema pienamente azzeccato. Il mondo negli ultimi decenni è stato plasmato dall’idea che non ha importanza il funzionamento del settore pubblico, perché quello che conta veramente per il buon funzionamento della società è il settore privato perché è quello che produce prosperità. Questa è l’idea propugnata dal cosiddetto neo-liberismo, nato negli anni 80 politicamente negli Stati Uniti con Reagan ed in Gran Bretagna con la M. Thatcher. L’idea base del neoliberismo era proprio quella di restringere il più possibile il settore pubblico lasciando il maggior spazio possibile al settore privato. Quello pubblico non c’è nemmeno bisogno che funzioni bene. L’idea di rafforzare il settore privato poggia sul fatto che non abbiamo davanti a noi particolari problemi collettivi; collettivamente, dopo il crollo del muro di Berlino, non vi è più particolare necessità di cambiamenti sul piano collettivo.    Questa idea ha cominciato a naufragare con il cambiamento climatico, quando ci siamo resi conto che questo cambiamento è chiaramente un problema collettivo, un enorme problema collettivo e che può essere risolto soltanto collettivamente con una particolare azione politica ma collettiva. Ora con il problema del coronavirus, la considerazione del solo settore privato ha ricevuto un colpo definitivo. Il coronavirus è un altro gigantesco problema collettivo; collettivo significa che “io non posso star meglio se tu non stai meglio”. Questo vale per il riscaldamento climatico come per il Covid-19; “io posso esser sano soltanto se anche tu sei sano”. In queste circostanze, di fronte a grandi problemi collettivi, riemerge la necessità del settore pubblico come fattore indispensabile e che bisogna tra l’altro farlo funzionare bene.  A testimonianza di questo vi è una enorme folla di persone che acclamano alla necessità del settore pubblico (quasi a dire che quasi tutti son diventati comunisti); un maggiore ruolo e controllo dello stato per quanto riguarda l’economia, le epidemie, i meccanismi sociali a supporto di questi fenomeni collettivi. Siamo entrati in un’epoca nuova che smentisce quanto sino ad oggi affermato ed auspicato per tornare a riconsiderare fortemente il ruolo pubblico. Si tratta di un cambiamento epocale anche rispetto a quanto è il pensiero dell’opinione pubblica.   Io sono uno studioso della “felicità” e ho assistito nel corso di questi anni al declino clamoroso della percezione della felicità in molti paesi ricchi. Sono paesi dove dovrebbero essere stati risolti tutta una serie di problemi di base (povertà, accesso all’istruzione, assistenza sanitaria, prospettiva di vita etc.); nonostante questo la felicità e declinata. Perché? La mia spiegazione è che, se da un lato sono stati risolti diversi problemi legati alla prosperità, dall’altra abbiamo assistito ad un forte declino delle relazioni. Le relazioni in realtà sono la cosa più importante per percepire la felicità; quindi il forte declino delle relazioni ha finito per influenzare negativamente sulla percezione della felicità.  Cosa centra il Covid in tutto questo? In realtà il Covid ci ha mostrato senza ombra di dubbio che le relazioni sono il perno centrale per la felicità. La gente normalmente non era consapevole di questo rispetto a chi come me studia il fenomeno della felicità. La perdita delle relazioni sono la grande dimenticanza della cultura occidentale. Noi tendiamo ad organizzare tutto l’aspetto sociale come se le relazioni non contassero. Nella realtà, qualunque decisione noi prendiamo ha un impatto sul mondo delle relazioni, da quelle piccole a quelle più complesse. Nelle scelte sociali teniamo conto di altri criteri piuttosto che sull’impatto che certe scelte hanno per quanto riguarda il mondo delle relazioni. Da come organizzare una scuola a come organizzare una città, a come organizzare un’impresa. Tutto questo ha un impatto sulle relazioni. In questo senso dico che il mondo delle relazioni è la grande dimenticanza del mondo occidentale.    Il Covid riporta al centro dell’attenzione l’importanza delle relazioni sociali per il nostro benessere generale. Durante il Covid abbiamo familiarizzato in massa con programmi on-line che ci consentono di riunirci, abbiamo sperimentato tutte le possibilità inaspettate di queste tecnologie scoprendo anche i loro limiti invalicabili. Abbiamo scoperto tante cose che si possono fare on-line, ma abbiamo scoperto anche tante altre cose ed esperienze che non si possono fare on-line. Di solito si tratta di cose importanti e coinvolgenti; vale per i rapporti di amicizia ma anche di lavoro, per non parlare di quelli d’amore. Abbiamo sperimentato che le relazioni hanno bisogno dei “corpi”; molte relazioni reali ci sono mancate. Il punto è che noi siamo “animali sociali”, abbiamo bisogno di stare in mezzo alla gente. Per tanti anni ci siamo evoluti con tutta una serie di sensibilità particolari nelle relazioni e proprio per questo, per questa mancanza di relazioni importanti perdiamo il senso della felicità.    Abbiamo visto anche i dati laceranti al tessuto economico derivanti da tante mancate relazioni fisiche. Per esempio i bambini invece di giocare all’aperto con i propri compagni/amici vivono situazioni digitali virtuali; invece di incontrarci nelle nostre serate con la gente, con gli altri, ci immergiamo nei nostri schermi. Invece di comprare nei negozi ci facciamo arrivare gli acquisti a casa. Ma riteniamo possibile che il nostro prossimo futuro vada a limitare ulteriormente la nostra vita comune? Difficile immaginare un futuro migliore in questo modo, limitando sempre di più le nostre relazioni.   Ora la tendenza prodotta dal Covid e dal confinamento, e cioè che si avverte il bisogno di un settore pubblico molto più presente e la necessità delle relazioni, sono fattori che possono modificare radicalmente la prospettiva futura. Le relazioni sono un aspetto centrale per la nostra organizzazione sociale. Quindi tutte le decisioni che prendiamo possono avere un impatto sulle relazioni tra di noi. Se ci ricordiamo di tutto questo possono determinarsi dei cambiamenti molto importanti nel medio/lungo periodo. Cambiamenti che dovrebbero essere finalizzati a migliorare il più possibile la qualità delle nostre relazioni per aumentare il nostro senso di benessere e di qualità della vita. 

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